Niente scenografia, solo delle seggiole da cui si diparte un groviglio di nastri, una specie di ragnatela, una maglia rigida di legami e vincoli, una gabbia dove albergano esistenze dal declino inevitabilmente segnato, fili polverosi che imbrigliano un mondo decadente sull’orlo del baratro, un mondo di mobili accatastati coperti dal cellophane. Fili che vengono riposizionati a ogni cambio d’atto, fino a essere staccati alla fine, recisi come i ciliegi sotto i colpi delle asce. Rimarrà solo il filo legato al fagotto, che sembra un bambino in fasce, che tiene in braccio Šarlotta.
Gianpiero Raganelli
La vicenda di Ljubov’ Andreevna Ranevskaja e della sua famiglia rispecchia la crisi di una società, la decadenza di una classe e l’affermazione di un’altra, la trasformazione di una struttura sociale e il delinearsi di un nuovo sistema di valori. Il maestoso e rinomato Giardino dei ciliegi dovrà essere messo all’asta per pagare i nuovi debiti della famiglia.
Uno dei testi più rappresentati e conosciuti di A. Cechov merita oggi un percorso di riscoperta che giustifichi la stessa messa in scena. Il fallimento di una famiglia borghese e la loro consequenziale perdita di proprietà, l’emancipazione dei servi e il loro riscatto sociale emergono lampanti ad una prima lettura de il giardino dei ciliegi. Ma partendo da queste tematiche abbiamo voluto affrontare un’indagine su tutte quelle dinamiche umane che i personaggi dell’opera subiscono. Lo stare cechoviano è lo stare di un’intera società, che, depressa e ansiosa, non può permettersi il pane, ma gioca alla lotteria.